Le forze di polizia cinesi hanno arrestato centinaia di persone a Lhasa, capitale della Regione autonoma del Tibet (Tar) su cui Pechino esercita un forte controllo amministrativo e culturale.
Sono almeno 600 le persone fermate negli ultimi giorni, dopo il rogo di due giovani davanti a un tempio della capitale tibetana. Espulsi pellegrini e turisti, bloccate le comunicazioni e le linee dei telefoni cellulari.
Le autorità cinesi hanno arrestato centinaia di persone a Lhasa, capitale della Regione autonoma del Tibet (Tar), in risposta all’auto-immolazione di due giovani – avvenuta lo scorso 27 maggio – per protesta contro l’imperialismo di Pechino nell’area e la mancanza di libertà religiosa. Secondo il sito Radio Free Asia (Rfa), con base negli Stati Uniti, le forze di sicurezza hanno prelevato almeno 600 tibetani e ordinato pure l’espulsione di tutti i pellegrini e turisti provenienti al di fuori della Tar. Il rogo dei due giovani, il primo nella capitale del Tibet, e la successiva ondata di arresti è la prima “significativa” protesta a Lhasa, dalla rivolta dei monaci del marzo 2008 repressa nel sangue dal governo di Pechino.
Nei giorni scorsi la città era invasa da pellegrini e fedeli buddisti, accorsi nella zona per celebrare il Saga Dawa, l’anniversario della nascita dell’Illuminato. I due giovani che si sono dati fuoco, non erano originari del Tar ma provenivano entrambi da province cinesi. L’auto-immolazione è avvenuta davanti al celebre tempio di Jokhang: uno dei due è morto, mentre l’altro sarebbe sopravvissuto – sebbene ferito grave – e al momento non si hanno ulteriori notizie sulla sua sorte.
Da quattro anni Lhasa è sotto la strettissima sorveglianza di Pechino, ma i controlli e la rigida censura non sono serviti a impedire il gesto estremo dei due giovani e la diffusione della notizia. Fonti locali raccontano che la polizia sta identificando chiunque si aggiri per le strade e le autorità hanno bloccato il segnale dei telefoni cellulari. Anche il sito con base a Londra Free Tibet conferma che le forze di sicurezza da giorni procedono con arresti arbitrari e detenzioni forzate.
Il 30 maggio scorso una 30enne nomade tibetana, madre di tre figli, si è data fuoco di fronte al monastero di Jonang Dzamthang, nella cittadina di Barma, nel Tibet orientale. La donna, conosciuta col nome di Rechok, è morta sul colpo; il suo corpo è composto all’interno del monastero e diverse persone si sono radunate attorno al luogo di culto per partecipare alla cerimonia di cremazione.
Dal marzo 2009 almeno 35 tibetani, fra cui moltissimi giovani e anche donne, si sono auto-immolati per protesta contro la rigida censura e lo stretto controllo imposto da Pechino, che sorveglia anche la pratica del culto e dispone l’apertura e la chiusura dei monasteri. Il Dalai Lama ha sempre sottolineato di “non incoraggiare” queste forme estreme di ribellione, ma ha elogiato “l’audacia” di quanti compiono l’estremo gesto, frutto del “genocidio culturale” che è in atto in Tibet ad opera della Cina.
Il ministero degli esteri Italiano, segnala possibili situazioni di tensione soprattutto nella regione dello Xinjiang e suggerisce pertanto a tutti coloro che si recano o si trovino già in queste zonei la massima cautela.