Nel feudo di Gengis Khan, punteggiato di ger, le mandrie di yak, cammelli, cavalli e pecore pascolano liberi, in una terra apparentemente senza confini. Scopriamo lo stile di vita delle popolazioni nomadi della Mongolia con una prima davvero speciale: un’esperienza nomade a passo di yak! Spazi infiniti, steppe sterminate interrotte qua e là da laghi, foreste di larici e piccoli agglomerati di ger, le tradizionali tende in cui vivono i nomadi che discendono direttamente dalla stirpe del temibile Gengis Khan, un luogo dove gli uomini seguono il passo lento della natura.
La Mongolia è il secondo più grande stato del mondo privo di accesso al mare. Ulan Bator è la capitale e la città più grande, dove risiede circa il 38% della popolazione. La Mongolia sembra un luogo fuori dal mondo: non appena si mette piede fuori da Ulaan Baatar si ha l’impressione di essere stati catapultati in un altro secolo. La Mongolia rimane una delle ultime destinazioni dell’Asia ancora in grado di riservare numerose avventure. Schiacciata com’è tra due giganti come Russia e Cina, la Mongolia è riuscita comunque a salvaguardare miracolosamente la propria autonomia. Il paese è attualmente governato da una coalizione democratica, ma la conquista dell’indipendenza ha comportato un caro prezzo per la popolazione.
Andiamo alla scoperta di un Paese dalla cultura antica, invitandovi a sposarne il ritmo e a seguirne il passo in simbiosi con i nomadi che abitano queste lande sperdute, con le greggi di animali e con l’imponente natura mongola.
Si parte da Karakorum, importante snodo carovaniero nel cuore delle immense praterie: la città fondata da Gengis Khan non esiste più e, al suo posto, si trovano alcune rovine che ben raccontano la storia di questi luoghi. Si prosegue verso Erdene Zuu, suggestivo monastero circondato da possenti mura interrotte da 108 stupa bianche, tante quanti sono i grani del rosario buddista: Erdene Zuu è uno dei templi più importanti e celebri di tutta la Mongolia ed è anche uno dei pochi ad essere scampato alle distruzioni del periodo leninista. All’ingresso del tempio, due grandi tartarughe di pietra, simbolo di eternità, proteggono l’edificio con i loro poteri sovrannaturali.
Si raggiunge la valle del fiume Orkhon, dove comincia il trekking che vi porterà a conoscere un luogo meraviglioso, Patrimonio dell’Umanità Unesco, dove, sullo sfondo di paesaggi incontaminati e selvaggi, convivono in fragile e variabile equilibrio resti di antichissime culture e piccole comunità dedite alla pastorizia.
Qui respirerete l’essenza della Mongolia: il Paradiso dei Cavalli -così viene chiamata questa valle di prati, cascate e montagne- sarà lo scenario in cui, come nomadi plasmati dal vento, formerete una carovana e camminerete seguendo il passo lento degli yak. Imparate a godere del viaggio, dei paesaggi, dei profumi, dei suoni ritmici dei passi sulsentiero, senza pensare alla meta e assaporate appieno una delle esperienze più straordinarie, e forse un po’ mistiche, della vostra vita.
Arrivate al monastero di Tuvkhun, abbarbicato sulla cima delle montagne, e all’impervio canyon che nasconde la fragorosa cascata Ulaan Tsutgalan; esplorate i dintorni e trascorrete l’ultima indimenticabile notte al campo tendato perché l’indomani si risale e arriverete nel deserto del Gobi.
Non un deserto di sabbia e dune, ma un’enorme distesa che occupa un terzo della superficie della Mongolia, una landa desolata, dove le condizioni ambientali estreme danno però vita a paesaggi di una bellezza struggente e magnetica: laghi salati, canyon rossi, enormi distese piatte dove le piste disegnano lievi arabeschi, monasteri antichissimi. Un tempo qui c’era l’acqua e ci vivevano tantissimi dinosauri, come testimoniano i tanti resti fossili: oggi invece il Gobi ospita alcune specie animali rarissime, come l’asino selvatico, il cavallo Prewalski, la saiga, un’antilope endemica, e l’orso del Gobi, che hanno fruttato a questo deserto la nomina di “Riserva della Biosfera” dell’Unesco.
Anche qui, nel cuore dell’Asia Centrale, non mancano le dune di sabbia, le Khongorin Els (in lingua locale “le dune cantanti”), che si estendono per come un mutevole muro alto 300 metri per oltre 100 chilometri, poco distanti dalla Valle delle Aquile, una lunga gola stretta e rocciosa con alte pareti a strapiombo, alla cui ombra sopravvivono per tutto l’anno chiazze e candele di ghiaccio: sabbia e montagna, verde e arsura, un contrasto stridente ed inatteso.
Abbandonate le steppe, si ritorna alla civiltà: dopo tanti giorni di silenzi, di sguardi che potevano perdersi verso l’infinito, Ulaanbaatar vi sembrerà caotica e vibrante di vita. Una visita ai principali monumenti della città e al raffinato Palazzo d’Inverno di Bogd Khan prima di prendere congedo da questo paese lontanissimo dal mondo, dalla frenesia e dalla fretta, ma più vicino ai ritmi dell’uomo e della natura.