Categorie: Idee per Viaggiare

Il deserto del Karakum e la porta dell’Inferno

Esistono luoghi nel mondo che possono affascinare e atterrire, luoghi che ci ricordano la potenza della natura e che per questo hanno un fascino spaventoso e intrigante allo stesso tempo. Il Turkmenistan non è un luogo che finisce spesso sulle prime pagine dei giornali, ma nel piccolo stato dell’Asia centrale, stretto tra Afghanistan, Iran, Kazakistan e Uzbekistan, c’è un posto detto la porta dell’inferno che affascina e spaventa i visitatori che si spingono fin lì. Un viaggio unico, una prima che porta i viaggiatori alla scoperta di un Paese dimenticato, ma ricco di storia, fascino e immensi deserti: il Turkmenistan.

Alla periferia dell’ex Impero Sovietico, tra il e le montagne del Kugitang, si trova il più isolato e misconosciuto Paese dell’Asia Centrale, il Turkmenistan.
Occupato per il 90% del suo territorio da deserti di dune e rocce, il Turkmenistan è forse lo stato di quest’area che più di ogni altro ha saputo conservare intatta la sua identità: in queste lande desolate passava la Via della Seta, sorgevano antiche fortezze e caravanserragli, banditi e predoni facevano le loro scorribande e pastori nomadi percorrevano la steppa alla ricerca di pascoli per i loro animali.


Oggi il Turkmensitan è cambiato: i pastori sono diventati sedentari e nessun predone terrorizza più chi percorre le piste nel deserto, ma l’anima ancestrale del Paese, la sua identità più profonda, è viva sotto le sabbie del Karakum ed è pronta ad ammaliarvi.

Partiamo da Ashgabat, la capitale del Paese, città-oasi che, come un miraggio, sorge improvvisa nel nulla del deserto; è una città moderna, piena di ampie piazze e di edifici in marmo eretti per celebrare la potenza di Turkmenbashi, il Padre della patria, a cui è anche dedicato l’Arco della Neutralità, una sorta di torre su cui svetta una statua dorata dell’ex Presidente, il controverso dittatore Niyazov.

Ma la capitale offre anche l’occasione per un primo contatto con l’anima più vera del Paese: al bazar di Tolkuchka, considerato un tempo il più spettacolare mercato dell’Asia Centrale, affastellati tra banchi di frutta e verdura, si trovano pile di tappeti di ogni colore, copricapi in pelo e gioielli tradizionali.
Lasciata la capitale si prosegue verso oriente fino a raggiungere le rovine di Gonur Depe, l’antica capitale del regno di Margiana, dove nacque lo zoroastrismo; sulla strada, antiche fortezze, resti di moschee e porte del deserto ci raccontano di civiltà potenti e ricchissime, sepolte dalla sabbia e lasciate per secoli in totale abbandono.
E poi comincia il deserto, quello vero, fatto di enormi dune e di piste che corrono parallele e distanti dalla strada principale. L’orizzonte è punteggiato da dromedari e da piccoli agglomerati di case e baracche in cui vivono, lontani da tutto, comunità di pastori semi-nomadi, conciatori di pelli, tessitori di tappeti, gruppi di uomini dalla pelle arsa dal sole, donne che si sottraggono allo sguardo degli estranei coprendosi il viso con un lembo del foulard che portano in testa, bambini vocianti che accolgono i visitatori con curiosità e allegria. È un mondo altro, congelato in un tempo senza tempo, per il viaggiatore un incontro inaspettato e coinvolgente.
Il viaggio attraverso il Karakum prosegue e di qui una delle tappe più esaltanti del viaggio: il cratere di Derwaze. Dopo ore di pista nel deserto del Karakum si apre infine la porta dell’inferno, un buco di sessanta metri di diametro da cui si sprigionano fiamme rosse. Il cratere arde da oltre 40 anni, offrendo ai viaggiatori una visione impressionante e particolarmente suggestiva durante la notte: il chiarore delle fiamme si vede infatti a chilometri di distanza.


Si tratta di una voragine di origine artificiale causata da un incidente nel 1971, quando una perforazione effettuata con lo scopo di cercare petrolio ha fatto crollare il terreno e aperto una via di fuga al gas naturale, che è stato incendiato volontariamente per evitare conseguenze ambientali peggiori. Da allora il cratere brucia ininterrottamente, tanto che i locali gli hanno dato il nome di “porta dell’inferno”

Il cratere è situato vicino al piccolo villaggio di Derweze. Per una curiosa coincidenza Derweze, anche nota come Darvaza, significa “porta” in lingua turkmena. Conta circa 350 abitanti, per la maggior parte della tribù Teke che mantengono uno stile di vita seminomade

Adesso è noto che sotto Derweze si trova un grande deposito di gas naturale, ma nel 1971 alcuni geologi sovietici stabilirono una piattaforma di perforazione nella zona in cerca di petrolio. Il terreno sotto la piattaforma crollò precipitando in una caverna piena di gas naturale ed inghiottendo tutte le attrezzature degli scienziati.

L’incidente non causò vittime fra i ricercatori, sebbene non sia stato escluso che la grande quantità di gas sprigionatasi nei primi tempi possa aver determinato la morte di alcuni abitanti dei villaggi vicini. Il timore che si potesse diffondere gas velenoso condusse i geologi ad innescare l’incendio ancora in corso, nella speranza, rivelatasi vana, che il fuoco consumasse tutto il gas combustibile presente all’interno della caverna nel giro di qualche giorno. Le fiamme, invece hanno continuato a bruciare inestinte.
Il cratere attuale

Allo stato attuale, il cratere presenta un diametro di 60-70 m e una profondità di circa 20 m e tra gli autoctoni è diffusa la credenza che si tratti di un fenomeno soprannaturale .

In ragione del continuo bruciare di gas, il bagliore che nasce dal foro è visibile, di notte, da chilometri di distanza. Ciò ha fatto sì che, nonostante l’isolamento e il forte odore sulfureo esalato dalle fiamme che pervade tutta la zona, la “porta dell’inferno” diventasse una fra le mete turistiche più visitate del Turkmenistan.


Si riprende il viaggio attraverso il deserto, questa volta in direzione ovest, per raggiungere prima i resti di Igdykala, un’antica fortezza dell’impero parto, e quindi i canyon di Yangikala, dove millenni or sono, si trovava un mare: le formazioni calcaree simili a torri e mura difensive cambiano colore a seconda della luce e, al tramonto, si infiammano d’oro, di rosso e d’arancio, regalando al visitatore uno spettacolo esaltante.


Dopo una sosta nella città di Turkmenbashi, sulle rive del Mar Caspio, il viaggio continua verso la città carovaniera di Dehistan, un tempo importante avamposto sulla Via della Seta, per proseguire quindi verso la parte meridionale del Karakum e il confine con l’Iran: attraversate le Montagne della Luna, ci si trova nel villaggio di Nohur, catapultati in un medioevo rurale dove le donne e gli uomini, che vestono i variopinti abiti tipici e portano alla cintola i pugnali tradizionali, si considerano i diretti discendenti di Alessandro Magno, passato di qui durante la sua spedizione verso l’India

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