Il libro è corredato da foto dell’autrice ed è disponibile su Amazon anche in formato Kindle.
Istanbul. Mi piaceva quel suono. A volte un amore comincia così, con un suono. Ero ancora una bambina quando vidi la cartolina che mio padre ci spedì dal suo viaggio in Turchia: cupole e minareti al tramonto, sullo sfondo di un cielo che incendiava lo sguardo in cui bruciava, fervida, la mia immaginazione. Ogni tanto mi ritrovavo a pensare a quel magico nome. Istanbul. Ci sarei andata, un domani. Ma il domani arrivò, e quel desiderio finì invece in qualche angolo dell’esistenza. Un giorno, molti anni dopo, Istanbul diventò finalmente la meta di un viaggio in solitaria per affrancarmi dai nodi che di solito, da adulti, ci trasciniamo dentro. Pesi che la vita ci ha costruito addosso, architetture edificate sulla nostra innocenza perduta. Subito dopo i quaranta, poi, il futuro comincia a invertire il suo moto rispetto al passato: uno si accorcia e l’altro si allunga, mentre ti rendi conto che i ricordi finiscono sulla stessa linea immaginaria del sogno. Un viaggio è il modo migliore per osservare da lontano le trame di cui è tessuta la nostra vita. Ma se partiamo insieme agli amici, o al compagno, ci portiamo dietro un pezzo di casa che ci impedisce di misurarci con ciò che siamo diventati davvero. Il vero viaggiatore è sempre solo, me lo aveva insegnato Chatwin con le sue migrazioni inquiete, ribelli, stupite, sulle tracce che i grandi viaggiatori dell’Ottocento hanno lasciato nelle geografie di questo mondo. Sì, sarei finalmente andata a Istanbul.