La processione dei Kukeri
La tradizione popolare bulgara, specificatamente del Kukeri, e’ una festa di origine pagana che ha luogo nella regione del Mar Nero tra la fine di febbraio e gli inizi di Marzo. Il rituale del Kukeri ha una forte legame con la vita agricola del territorio e si offre oggi con una chiara mescolanza fra le antiche tradizioni pagane e quelle più recenti cristiane. Quella bulgara è la regione in cui tale rituale ha mantenuto la propria forza identitaria e comunitaria. Essa ha luogo negli ultimi giorni dell’inverno, per rafforzare gli effetti benefici della natura che si risveglia nei campi, ed in tal senso richiama la tradizione occidentale del Carnevale.
I partecipanti, soltanto maschi, al rituale sono vestiti di indumenti realizzati con pelli di pecora, campane appese alla cintura e maschere dall’aspetto orribile; caratteristiche dell’abbigliamento sono le grandi maschere-copricapo multicolore ed i campanacci, spesso di dimensioni notevoli, appesi alla cintura. Lo scopo principale è quello di allontanare gli spiriti maligni che si ritiene che ritornino in vita nel corso della stagione invernale. Inoltre si vuole rendere propizie le forze della natura, per assicurare la fertilità del terreno. La danza ha il valore simbolico di assicurare la riuscita della semina e il gesto del danzatore che alla fine cade per terra sta a significare l’abbondanza della mietitura.
Particolarmente interessanti sono i colori variopinti della maschera e dei costumi. La danza segue l’andamento di pesanti ondeggiamenti per ricordare la spiga gonfia di grano. Si tratta di una messa in scena dei momenti più importanti del ciclo agricolo, in modo che essi diano i risultati sperati. In questa occasione i giovani sono soliti girare per le case, accolti dalla gente, che offre loro dolci e bevande.
Nonostante la necessità di ammodernarsi per entrare nei parametri europei, con conseguenti turbolenze interne che caratterizzano quest’ultimo periodo, l’attaccamento alla terra e il rispetto della natura sono tratti del carattere popolare che hanno attraversato i secoli e i domini senza essere scalfiti: l’agricoltura riveste una grande importanza per l’economia del paese, difatti le coltivazioni coprono una grossa parte del territorio. Questo affetto viene decantato nelle vecchie leggende e nei riti che accompagnano i diversi momenti della vita umana, come durante il Carnevale di Pernik, una piccola cittadina poco distante da Sofìa, dove si svolge il Festival delle Maschere nell’ultimo fine settimana di gennaio.
Fedele alle tradizioni popolari, questa festa ha le proprie radici in un rito risalente all’epoca dei Traci che serviva per allontanare gli spiriti del male e celebrare la vita nuova con la fine dell’inverno. Una rumorosa sfilata di gruppi folcloristici attraversa la città, accogliendo personaggi vestiti con gli abiti tradizionali e altri addobbati con pelli d’animali, tela grezza e grosse maschere inquietanti: sono le processioni dei Kukeri, che con campane e sonagli legati a vita, balli selvaggi e grida animalesche mettono in scena un rituale atavico.
Il Kuker è l’antica divinità della fertilità e il suo ruolo è interpretato da un uomo vestito con pelle di capra o pecora e sul viso calata una grossa maschera dalle alte corna, addobbate con perle e tessuti. Alla vita porta un grande fallo in legno, per la riproduzione simbolica di diversi atti fisiologici, tra cui quello sessuale. Contornato da numerosi personaggi allegorici (come l’Imperatore e il suo entourage), viene così celebrato il matrimonio sacro della divinità con un’eletta, che appare già incinta e impegnata nel parto. Il rituale, particolarmente esplicito, indica quanto sia faticoso –ma necessario- arare e seminare per ottenere un buon raccolto, così invocato.
Questo festival internazionale coinvolge migliaia di persone provenienti da diverse aree della Bulgaria (oltre che delegazioni europee, asiatiche e africane), per un totale di quasi cento gruppi mascherati. La manifestazione è anche di un concorso, poiché al suo termine una giuria di esperti in etnologia, folclore, culture e specialisti dell’accademia bulgara delle scienze premia il gruppo più fedele alle tradizioni, mentre tutt’attorno gli spettatori sono allietati da spettacoli teatrali, mercatini e qualsiasi altra al gruppo mascheratoforma di divertimento e intrattenimento legati al passato e al futuro.
La sfilata dei Mamuthones
Quella del Mamuthones è una delle maschere più conosciute e importanti del carnevale in Sardegna, grazie alla storia secolare che emana dalla sua figura. La danza e’ un’antichissima rappresentazione di un rito propiziatorio o religioso di cui si è perso il significato originale. E’ un rito apotropaico (antico rituale con cui si scacciano gli spiriti maligni) che risale almeno all’età nuragica ed esiste quindi da più di 3500 anni, ci sono diverse ipotesi sul suo significato: in origine era forse destinato alla venerazione degli animali, alla protezione contro gli spiriti del male, alla propiziazione dei raccolti ed anche al culto dell’acqua come fonte di vita.
I protagonisti di questa sfilata sono i Mamuthones e gli Issocadores, maschere arcaiche di cui s’ignorano ancora le origini, ma che con chiarezza rappresentano l’allegoria ironica dell’inversione uomo-bestia.
Abiti di velluto e una pelle di una pecora nera (mastruca) rivestono il Mamuthones. Sul loro dorso è legato un pesante grappolo di campanacci da bue, che superano spesso i 30 chilogrammi di peso, mentre una collana di campanelle è appesa al collo. La testa è coperta dal berretto (berritta) tenuto fermo da un fazzoletto scuro, annodato sotto il mento. Sul viso è riposta una maschera di legno nera (sa bisera) che rappresenta l’elemento più inquietante ed emblematico dell’intera sfilata.
Gli Issocadores (il nome deriva dalla “soha”, ossia la frusta, un tempo in cuoio, ora di giunco, che usa per catturare gli spettatori) aprono e chiudono il corteo. Essi indossano un giubbetto rosso, dei calzoni bianchi o scuri, uno scialletto sui fianchi, una berritta sul capo tenuta da un fazzoletto variopinto stretto sul viso, una bandoliera con sonagli di bronzo e ottone. In mano stringono la fune di giunco (sa soca) che usano per trascinare al lazo i visitatori, rendendoli partecipi della sfilata, il loro abbigliamento ha subito influssi esterni che lo hanno alterato e modernizzato, in ogni caso erano e sono i guardiani dei Mamuthones, che controllano i loro movimenti.
Durante la danza, i dodici Mamuthones, sfilano ordinati su due file, alternando lenti movimenti a scatti improvvisi, che sembrano seguire una coreografia preordinata. Procedono con passi pesanti ma ben cadenzati, ricordano i movimenti di uomini in catene. I movimenti sono perfettamente sincronizzati: un passo con il piede sinistro e una scrollata di spalla a destra, e viceversa.
Ad ogni salto si sente lo strano suono dei campanacci e dei sonagli che portano sulle spalle, quindi daccapo, procedendo in avanti lentamente. Gli Issocadores aprono e chiudono il corteo. Sono otto e procedono all’esterno delle due file di Mamuthones, mantenendo il loro passo. Poi all’improvviso si spostano di scatto, vanno verso il pubblico, e catturano alcuni spettatori con la loro “soca”: le persone catturate (non le donne), secondo la tradizione, per essere liberate dovrebbe offrire da bere al gruppo mascherato.