L’11 novembre, giorno dedicato a san Martino, simboleggiava la fine dell’anno agrario.
Questo era il giorno del pranzo abbondante prima di quello natalizio e si assaggiava il vino novello nelle cantine gustando caldarroste o rostie.
Il 13 dicembre, invece, con la festa di Santa Lucia, prendeva avvio una specie di rito sacrificale: l’uccisione del maiale, di cui nulla andava perso. Basti pensare che perfino le ossa erano conservate sotto sale per farne un economico companatico da affiancare ai cavoli neri, e la testa veniva conservata per poi essere consumata assieme alla focaccia di granoturco o alla farinata, dopo la messa di mezzanotte di Natale. Ma la vera squisitezza era il berodo, sanguinaccio confezionato con il sangue del maiale.
Il giorno della vigilia si facevano le pulizie ed era usanza addobbare la casa con decorazioni fatte con lunghi fili di spago in cui venivano infilati bacche di ginepro, alloro, rametti di ulivo, maccheroni, noci e nocciole. Al mattino le donne preparavano il pandolce per il Natale e spesso anche i ravioli, che in alcune zone sostituivano i natalini, e si cuoceva il berodo per l’indomani. Sul piano del focolare ardeva il ceppo d’olivo o d’alloro, che bruciava lentamente fino a Capodanno, simbolo del vecchio anno che sta per terminare.
Il pranzo e la cena erano piuttosto frugali, a base di cavoli bolliti conditi con l’olio, farinata, pane casereccio e focaccia di granturco. La mattina di Natale le mamme mandavano i bambini a prendere il pane bianco di bottega ed era usanza che i negozianti regalassero loro torroncini. Sulla tavola imbandita non dovevano mancare elementi simbolici propiziatori: uno scopino di erica, fatto benedire durante la messa di mezzanotte, una manciata di sale, la cassoa, cioè il mestolo forato, una michetta di pane bianco per i poveri e un’altra lasciata in serbo per gli animali.
La prima pietanza del pranzo era costituita dai natalini in brodo, lunghi maccheroni di pasta di semola di grano duro lisci e tagliati a “penna”, mentre il 26 dicembre si consumavano i ravioli, preparati con gli avanzi del giorno precedente. A fine pranzo arrivava il piatto più atteso della festa natalizia: il pandolce decorato con un ramoscello d’alloro. Il più giovane componente della famiglia toglieva il rametto e tagliava il pandolce e il più anziano serviva le porzioni a tutti i convitati seguendo un rituale preciso e facendo attenzione a mettere da parte una fetta per i poveri. Il pranzo natalizio terminava con noci, frutta secca e candita, uva, mele carle e pere martine sciroppate.
Il ricco menu natalizio non finisce qui: con anicini, frutta fresca, frutta secca, canditi e cioccolatini si preparava il “tondo di Natale”, piatto che il “capofamiglia” confezionava per ogni commensale e che veniva poi consumato gradatamente per tutto l’arco delle feste.