Nel weekend fra il 1° e il 2 dicembre alcuni monumenti della città di Praga saranno accessibili liberamente in occasione della celebrazione dei 20 anni dall’iscrizione del primo sito nella lista Unesco. Il 4 dicembre 1992 l’intero centro storico di Praga, con una superficie totale di 866 ettari, è entrato a far parte del patrimonio Unesco. Fanno parte della lista la Città Vecchia e quella Nuova, l’antico quartiere ebraico di Josefov con le sue sinagoghe, la fortezza barocca di Vysehrad, il caratteristico quartiere di Mala Strana, chiese, cattedrali, palazzi e naturalmente il Ponte Carlo.
Sul sito Prague Welcome si legge:
Oltre ad essere una perla storica dell’Europa, Praga è anche una delle città più belle al mondo. È un “libro” di architettura con un numero infinito di monumenti, nonché una città piena di musica, romanticismo e nostalgia, ma è soprattutto una città moderna piena di vita!
Praga dai cento volti, patrimonio Unesco. Una città da visitare con gli occhi incantati. Parliamo della magia delle leggende, che nella capitale ceca si inseguono di via in via, di monumento in monumento, addirittura di casa in casa. Esploriamo dunque l’old town seguendo alcuni dei tanti racconti che si snodano tra rotonde romaniche e cattedrali gotiche, tra palazzi rinascimentali e sinagoghe, tra monasteri barocchi e monumenti cubisti e liberty. Storie che hanno attraversato i secoli per arrivare misteriosamente a noi.
Cominciamo dall’ingresso nella città vecchia: il ponte Carlo IV, oggi meta di innumerevoli turisti, puntellato di banchi di ritrattisti e di artigiani, location amata dagli artisti di strada. E’ meglio visitarlo nel tardo pomeriggio, per godere di uno splendido tramonto con vista sul Castello di Praga. Secondo la leggenda, la prima pietra del ponte fu posta in un momento deciso dagli astronomi di corte che, con misteriosi calcoli, riuscirono ad individuare una particolare combinazione di numeri: 1, 3, 5, 7, 9, 7, 5, 3, 1. Così, il 9 luglio del 1357 alle ore 5 e 31, iniziò la costruzione. Il re Carlo IV scelse l’archietto Petr Parler (lo stesso al quale aveva affidato la cattedrale di San Vito, cuore spirituale della città).
La leggenda narra che Parler decise di aggiungere alla malta del vino e delle uova ma che, in tutta Praga, non ve ne erano a sufficienza. Così, per ordine del re, furono trasportate, su centinaia carri, da ogni angolo della Boemia. Accadde però che dal paese di Velvary, invece di portare uova fresche portarono uova sode (con l’intento che non si rompessero durante il tragitto). E che dal paese di Unhost arrivarono anche ricotta e formaggi. Cosi il ponte Carlo fu costruito non solo con la pietra ma anche con uova sode di Velvary, vino, formaggi e ricotta di Unhost!
Il ponte Carlo, nel XVII secolo, fu abbellito su entrambi i lati con statue barocche. Quelle che si vedono oggi sono delle copie, mentre gli originali sono conservati nel Lapidarium. Tra queste statue la più famosa rappresenta il sacerdote Nepomucemo (poi diventato santo), che fu gettato dal ponte durante il regno di Venceslao IV. Diventata lucida a furia di esser toccata (si ritiene che sia di buon auspicio per un ritorno a Praga), la statua ricorda un’altra leggenda: nel punto da cui fu gettato Nepomucemo l’intera arcata crollò e per tanti anni nessuno riuscì a ripararla in quanto ogni volta che veniva ricostruita, crollava nella notte successiva. Accadde dunque che un costruttore, per riuscire nell’impresa, fece un patto con il diavolo, in cambio della prima anima che sarebbe passata sul ponte. L’arcata fu costruita e resistette ma l’uomo cercò di inventarsi qualcosa per non far cadere nessuna anima nelle mani del diavolo: nascose un gallo nella torre del ponte della old City, con l’intento di liberarlo prima dell’inaugurazione. In questo modo, il gallo sarebbe stato il primo a passare sul ponte. Ma il diavolo, furbo, con un inganno fece in modo che la prima a passare fosse proprio l’amata moglie del costruttore. La notte seguente la donna morì, con il figlio che portava in grembo. La leggenda racconta che da allora l’anima del bambino volteggia sopra il ponte e che, ogni tanto, i pedoni sentano i suoi starnuti. Secondo un’altra versione, l’anima sarebbe stata liberata da un turista che, sentendo lo starnuto, pur non vedendo nessuno, disse “salute”.
Subito dopo il ponte, all’incrocio tra via Karlova e via Seminarska, c’è la casa del pozzo d’oro. Secondo un’altra leggenda, una domestica, incuriosita dal bagliore che proveniva dal pozzo, si sporse troppo e vi cadde dentro. Quando lo svuotarono per recuperare il corpo, si scoprì che nel pozzo c’era un tesoro. Ma non ci fu pace per i proprietari: ogni notte lo spirito della domestica annegata si aggirava per la casa piangendo. Altri due spiriti abitavano nella casa – un cavaliere e la sua dama – ma nessuno conosceva la loro storia e dunque nessuno riusciva a liberarli. Finché un pasticciere vi andò ad abitare. Sperimentando nuovi dolci, fece le forme della dama e del cavaliere, ma di notte trovava i dolci decapitati. Decise quindi di dormire in cucina per capire come fosse possibile. Ed ecco apparire il cavaliere e la sua dama. Volevano che il pasticcere ritraesse il loro volti con la pasta da dolci. C’era poco tempo: alle prime luci dell’alba le loro teste sarebbero dovute ritornare nella Moldova, dove le aveva gettate il loro assassino. I due sfortunati erano infatti stati decapitati: raccontarono che quella casa una volta era una locanda e che durante un loro soggiorno furono uccisi dal proprietario intenzionato ad impossessarsi delle loro ricchezze. Il pasticcere andò quindi in cantina a cercare i corpi dei due amanti e li seppellì al cimitero, liberando le loro anime. Come ricompensa, il cavaliere e la sua dama fecero trovare al pasticciere il tesoro della casa.
Sempre in via Karlova, la leggenda racconta che si aggiri il fantasma di un vecchio strozzino che abitava in quella strada. Un giorno la casa dels uo vicino andò a fuoco ma invece di offrire aiuto, lo strozzino pensò solo a salvare le sue monete. Si dice che il suo spirito ricompaia a mezzanotte. Solo qualche pietoso passante che lo aiuterà a portare il suo pesante sacco da via Karlova fino alla piazza della città vecchia potrà liberarlo.
Il convento di Sant’Agnese, oggi diventato galleria. Una volta una ragazza fu rinchiusa qui dal suo ricco padre, per punizione: si era innamorata di un giovane popolano. I due giovani si diedero appuntamento per una fuga ma il padre di lei li scoprì ed uccise entrambi, maledicendo la ragazza. Tanti anni dopo, il convento fu abbandonato dalle suore. Secoli dopo, accadde che una fanciulla, innamorata di un giovane ma osteggiata dal padre di lui, decise di suicidarsi proprio vicino al giardino del convento. La leggenda narra che, mentre la giovane stava per bere il veleno che aveva preparato, una figura grigia le strappò il bicchiere di mano e lo gettò via. La giovane continuò a vivere, ma senza riuscire ad accumulare i soldi chiesti dal padre del suo amato per acconsentire alle nozze. La figura grigia ritornò da lei e le donò un sacchetto con le monete necessarie: era lo spirito della monaca uccisa dal padre. Sempre il convento è al centro di un’altra leggenda: le suore accolsero una anziana nobildonna rimasta sola. Per ricompensarle, prima di morire, la donna lasciò loro una pozione segreta, capace di guarire tutte le malattie: l’acqua della rondine. Quando le suore furono costrette a lasciare il convento, rimasero solo alcune bottigliette a casa di una vedova. Un giorno, un giovane polacco prese in affitto una stanza a casa della vedova: voleva scoprire il segreto della pozione. Tentativo dopo tentativo, morì in seguito ad un’esplosione. E cosi si perse con lui il segreto della medicina magica.
In via Plàtnérska c’è invece una casa dove una fanciulla fu uccisa per gelosia dal suo uomo. Lei lo maledì trasformandolo in un pezzo di ferro. Solo la pietà di una vergine, una notte ogni cento anni, può liberarlo. Dopo vari secoli, una signora andò ad abitare nella casa insieme alla sua bella figlia. Il cavaliere le apparve di notte raccontandole la sua storia. Le diede appuntamento all’indomani: se la ragazza avesse mantenuto il segreto dell’incontro, finalmente sarebbe stato liberato. Invece la giovane, spaventata, raccontò tutto a sua madre. L’anziana decise quindi di presentarsi all’appuntamento al posto della figlia. E cosi il cavaliere perse per altri cento anni la possibilità di essere liberato. La sua immagine e quella della sua dama sono ritratte all’angolo tra la piazza Mariànské nàmésti e la via Platnérskà.
Infine, la piazza della città vecchia, la Starometske Namesti, la più antica ed importante della Praga storica. Ventisette croci bianche ricordano la decapitazione dei nobili che si opponevano al regno. Accadde il 21 giugno 1621. Le loro teste furono messe in cesti ed esposte per avvertimento. Secondo la leggenda, nella mezzanotte del 21 giugno i 27 spiriti ritornano nella piazza per vedere il funzionamento dell’orologio. Se va, vuol dire prosperità per il Paese.
Ed è proprio con una leggenda sul mitico orologio astronomico della Città Vecchia che si può concludere questo giro nella old town seguendo le tappe scandite dalle leggende. L’orologio, capolavoro della scienza e dell’arte gotica, fu costruito nel 1410 dal maestro d’orologeria Mikuláš z Kadaň e da Jan Šindel, quest’ultimo professore di matematica ed astronomia dell’Università Carlo di Praga. Poi, secondo la leggenda, fu migliorato nel XV secolo dal maestro Hanus da Ruze, che ne fece un’opera unica. Si trova sulla facciata del Municipio ed è formato da un quadrante astronomico a forma di astrolabio (strumento medioevale per la determinazione delle posizioni delle stelle) che ha, sullo sfondo, la Terra fissa nel cielo. Attorno ad essa si muovono quattro meccanismi: un anello zodiacale, un anello esterno rotante, una lancetta con il simbolo del Sole e una con il simbolo della Luna.
Durante la giornata, l’orologio sposta il simbolo del Sole nella zona blu (giorno), nella zona nera (notte) o in quelle rosse (fasi di alba e tramonto). A sinistra si leggono le scritte latine aurora (aurora) e ortus (alba), a destra occasus (tramonto) e crepusculum (crepuscolo). I numeri romani dorati indicano l’ora di Praga mentre le linee curve dorate dividono il quadrante blu in dodici parti numerate che segnano le ore planetarie che variano a seconda delle stagioni. Un anello mobile indica i dodici simboli dello zodiaco e la posizione del sole sull’eclittica. L’orologio è fiancheggiato da quattro figure: la morte (lo scheletro), la lussuria (il turco), la vanità ( il personaggio con lo specchio) e l’avarizia (il viandante con la borsa). Allo scoccare di ogni ora lo scheletro suona una campana tirando la fune con la mano destra e capovolge la clessidra che ha nella sinistra, mentre il turco gira la testa in direzione della morte; a questo punto dalle due finestrelle esce il corteo con i dodici apostoli che, a coppie di due a due, si inchinano alla folla.
Prima esce San Paolo, con in mano un libro e una spada, poi Tommaso (con una lancia), Giuda che porta un libro, Simone con una sega e Bartolomeo con un libro. Dalla seconda finestra, escono Pietro (con una chiave), Matteo con un’ascia, Giovanni con un serpente, Andrea e Filippo con una croce e Giacomo con una mazza. Rientrato il corteo, il gallo che si trova sopra le finestre dell’orologio canta l’ora suonata.
Secondo la leggenda, dopo aver realizzato l’orologio di Praga, molte commissioni arrivarono al maestro Hanus. Temendo che potesse progettare un orologio ancora più bello per qualche altra città, facendo cosi perdere un prezioso simbolo di Praga, alcuni consiglieri ordirono un piano terribile: invece di premiarlo, lo accecarono con un ferro rovente, in modo che non potesse progettare più nulla. Quando riuscì a riprendersi, il maestro si fece portare all’orologio: non potendo più vedere la sua meravigliosa creazione, desiderava almeno toccarla. Solo lui sapeva come funzionava. Avendo scoperto la motivazione dell’orribile atto che lo aveva reso cieco, Hanus danneggiò l’orologio. Per tanti anni nessuno fu in grado di ripararlo. Il suo silenzio ricordò a tutta la città l’ingratitudine di cui fu vittima il povero maestro… ma i più maliziosi pensano sia una storia per giustificare i ripetuti periodi di non funzionamento.