Sempre alto il numero delle Bandiere Blu è della Liguria… e il numero è in aumento! Venti, infatti, i prestigiosi riconoscimenti della Fee-Foundation for Environmental Education. Il riconoscimento, che riguarda la qualità non solo delle acque, ma anche dei servizi, i parametri di vivibilità e di sostenibilità verso i turisti è andato quest’anno a Spotorno, Bergeggi, Finale Ligure, Noli, Savona Fornaci, Albissola Marina, Albisola Superiore, Celle Ligure, Varazze, Loano, Chiavari, Lavagna, Moneglia, Lerici, Framura e Ameglia e San Lorenzo al Mare.
La Liguria è infine al primo posto anche per i porticcioli turistici (15), premiati con la Bandiera Blu 2013, in questo caso uno in più dello scorso anno. I riconoscimenti sono andati a: Portosole di Sanremo, Marina degli Aregai (Santo Stefano al Mare) e Marina di San Lorenzo, Marina di Andora, il Porto Luca Ferrari di Alassio, Marina di Loano, la Vecchia Darsena di Savona, Cala Cravieu di Celle Ligure, la Marina di Varazze, il Porto Internazionale Carlo Riva di Rapallo , la Marina di Chiavari, la Marina di Porto Venere, Porto Bocca di Magra (Ameglia) , il Porto Lotti e il Porto Mirabello della Spezia, quest’ultimo new entry 2013.
Alcuni dei luoghi da non perdere
Il Golfo dei Poeti è un’ampia e profonda insenatura che si apre nella costa del Mar Ligure, situata all’estremità orientale della regione Liguria, in corrispondenza della città di La Spezia, che partendo da Lerici arriva fino a Portovenere abbracciando tra due promontori una moltitudine di spiagge, coste frastagliate, mare azzurro, antichi borghi e natura selvaggia.
Una costa suggestiva e unica, dalle mille sfumature, comprende antichi borghi a picco sul mare, verdi colline e specchi di acqua cristallina.
Il golfo si lascia scoprire tranquillamente, in modo quasi sonnolento e meditativo, e non sorprende che questa terra sia stata particolarmente amata da poeti e scrittori come Petrarca, Montale, Byron e Shelley che vi perse la vita in una tempesta improvvisa mentre a bordo della sua goletta navigava verso San Terenzo.
Da tutte queste personalità la zona ha romanticamente preso il suo nome mutandolo da golfo “di La Spezia” a “dei Poeti“. A battezzarlo così fu nel 1919 il commediografo Sem Benelli, che proprio in una villa affacciata sul mare di San Terenzo lavorò al suo dramma “La cena delle beffe“.
Il termine fu forgiato dal drammaturgo nel contesto di una sua rievocazione della figura di Paolo Mantegazza: “Beato te, o Poeta della scienza che riposi in pace nel Golfo dei Poeti. Beati voi, abitatori di questo Golfo, che avete trovato un uomo che accoglierà degnamente le ombre dei grandi visitatori“.
Tale soprannome deriva soprattutto dal fatto che nel corso dei secoli anche molti altri poeti, scrittori ed artisti hanno trascorso periodi della loro vita, o vi hanno stabilito la propria residenza, nei borghi del golfo, incantati dalla bellezza di questo luogo.
Tutte le fotografie di questo articolo sono ad opera di Francesco Gola, scattate con la tecnica della lunga esposizione, ovvero lasciando l’obiettivo della macchina fotografica aperto per diversi secondi (minuti) attraverso l’uso di apposite lastre fotografiche e sono tutte frutto di un singolo scatto. Potete visionari gli altri lavori di Francesco sul suo sitoweb: francescogola.net
Tra gli artisti italiani si possono citare i poeti Gabriele D’Annunzio e Filippo Tommaso Marinetti, lo scrittore e scienziato Paolo Mantegazza, il pittore Oreste Carpi, lo scrittore e regista Mario Soldati che abitò stabilmente in una villa presso Tellaro e lì vi morì nel 1999, il giornalista Indro Montanelli che era solito trascorrere lunghi periodi a Monte Marcello. Nella frazione della Serra nacque il poeta Paolo Bertolani, a cui il Comune di Lerici conferì la cittadinanza onoraria.
Tellaro, San Terenzo, Fezzano, Le Grazie, l’isola Palmaria, il Tino e il Tinetto. Luoghi incantati e piacevoli, anticamente parte di quella che era la Lunigiana storica, così diversa dalla Lunigiana interna, ma cosí unita nei costumi, nelle tradizioni e nella cucina.
Una vacanza nel Golfo dei Poeti vuol dire scoprire hotel, affittacamere e bed & breakfast a due passi dalle spiagge, oppure agriturismi isolati nel verde di ulivi e vitigni, dove anche degustare i piatti tipici di Lerici, Spezia e Portovenere, unione di sapori di terra e di mare.
Chi valica i suoi confini di ripide falesie e altissime pinete, sa che ha inizio un viaggio di stupore e meraviglia, ancora dopo tanti secoli un paesaggio che si insinua nello sguardo sino a confondersi con l’anima di chi lo cammina.
Il Golfo della Spezia è inoltre luogo di svolgimento di alcune affascinanti competizioni sportive come il Palio del Golfo, disputa di barche a remi tra le tredici borgate marinare che si affacciano sul litorale, e la Coppa Byron, gara di nuoto che copre la distanza tra i borghi di Lerici e di Porto Venere.
San Terenzo è un piccolo e ridente borgo di origini antichissime affacciato sul Golfo dei Poeti. Esisteva come paese indipendente già dal Medioevo: villaggio di pescatori e marinai, era noto per il commercio marittimo di vino ed olio.
L’antico nome del paese era Portiolo (da “porto dell’olio”), mutato nei secoli in San Terenzo in onore di un ricco pellegrino di origini scozzesi che approdò sulla costa della baia. Dopo essere stato ospitato dai paesani, donando loro beni materiali e spirituali, Terenzio fu nominato vescovo della vicina Luni.
Diversi toponomi della zona, tra i quali lo scoglio di Orlando, che secondo la leggenda fu spezzato in due dalla potenza del cavaliere, e la Tomba del Gigante ricordano i tempi delle Crociate.
San Terenzo, meta nel corso dei secoli di innumerevoli artisti, iniziò ad essere conosciuto grazie ai poeti Shelley e Byron. Percy Bysshe Shelley abitò per il resto della sua vita con sua moglie Mary a villa Magni, la bianca casa sul mare con il porticato ad archi all’estremità orientale del paese.
Un estratto della sua lettera a Maria Gisborne del 15 agosto 1822 recita : “…il verde ricopriva le colline che racchiudevano questa baia e bellissimi gruppi di alberi erano pittorescamente contrastati dalle rocce, dal castello e dal paese…”.
Il centro storico del borgo ha inizio dal castello, situato su uno sperone roccioso a picco sul mare. Questo edificio a pianta pentagonale, dal quale si può godere di una suggestiva panoramica della baia, è stato costruito per mano degli stessi santerenzini attorno al XV secolo e, in modo particolare nel periodo estivo, è aperto liberamente al pubblico.
Le tipiche variopinte case liguri del borgo fronteggiano la spiaggia, che nel periodo estivo è per metà libera e per l’altra metà attrezzata. Di grande impatto visivo sono la passeggiata “da castello a castello” che percorre la costa fino a Lerici , e la splendida baia della “Marinella”.
Se il nome può far pensare all’animale sacro a Diana, la dizione “il Servo” e anche “il Servio” usata nei documenti ne rivela le origini medioevali. Il Borgo è ubicato nella Valle Steria, la più orientale della Provincia di Imperia, circoscritta dal Torrente Merula e dalla valle dell’Evigno, oltre ovviamente al Mar Ligure.
Cervo è ancora oggi un borgo fortificato sul mare e le sue origini risalgono alla conquista romana (181 a.C.) come “mansio” della via Julia Augusta.
Tracce di un insediamento preistorico sono state trovate sull’altura che sovrasta il paese; altre, d’età tardoromana, sono emerse sul promontorio dove fu edificata l’attuale chiesa di San Nicola, anticamente dedicata a San Giorgio, particolare che fece ipotizzare l’esistenza di un insediamento in età Bizantina (VI-VII secolo).
Al suo vertice troviamo il millenario castello dei Clavesana e le tracce del primo nucleo abitativo, probabilmente ad esso addossato. Il potere feudale si dissolse nei primi secoli del tardo-medioevo, contemporaneamente allo sviluppo economico e demografico. Nel 1222 i Dianesi attaccarono il castello di Cervo, ma furono prontamente respinti grazie all’intervento delle forze armate di Genova, che li condannò ad una multa di ottocento libbre per aver attaccato il castello dei Clavesana. Nel 1625 il castello venne invece espugnato e saccheggiato dalle truppe piemontesi savoiarde.
Cervo, da anni certificato tra “I Borghi più Belli d’Italia”, ha conservato intatte le sue originalissime caratteristiche di borgo medievale sul mare, protetto da torri e mura cinquecentesche e circondato da verdi colline; in paese – cui si accede attraverso le originarie porte medievali – si circola solo a piedi, in un’oasi di silenzio e serenità, tra palazzotti padronali settecenteschi e vicoli su cui aprono i battenti laboratori artigianali di ceramica, vetro, legno, cuoio, oro e porcellana.
I monumenti più rilevanti sono l’antica e prima parrocchiale Chiesa di San Nicola – San Giorgio, la barocca Chiesa di San Giovanni Battista o dei Corallini, il romanico Oratorio di Santa Caterina con affreschi del sec. XVI, il medievale Castello Clavesana che ospita il suggestivo Museo Etnografico del Ponente Ligure ed il Palazzo Viale. Nei secoli XVI, XVII e XVIII i cervesi, oltre che l’olivicoltura e la marineria, hanno intensamente praticato la pesca del corallo nei mari di Corsica e Sardegna. A questo proposito si narra di un terribile fortunale che investì le barche di 150 uomini di Cervo che tornavano da una spedizione di pesca: le barche affondarono con i loro equipaggi; tanti furono i morti e tanti furono i lutti che per lungo tempo Cervo ebbe il triste appellativo di “Città delle vedove”.
Per quanto concerne le manifestazioni, Cervo è nota per il Festival Internazionale di Musica da Camera che si svolge ormai da più di quarant’anni e dove i maggiori artisti d’Europa offrono concerti al chiaro di luna, da vivere in rapito silenzio. Il Festival e le rinomate Accademie musicali, hanno valso a Cervo il titolo di “Borgo della Musica”. Alle spalle del borgo le colline sono coperte da un fitto manto di ulivi che sorgono su terrazze (le “fasce”) costruite in secoli di durissima fatica; più a monte verdeggia la macchia mediterranea rimasta al suo stato naturale, ricca di flora spontanea anche rara (orchidee) e frequentata da un fauna quanto mai varia. Campagne e boschetti sono attraversati da una rete di sentieri, segnalati e tracciati, che portano sia al Parco Comunale Ciapà sia in vetta alle colline con vista panoramica.
L’epopea della difesa dalle incursioni saracene, che terrorizzarono il Ponente ligure dal Mille fino a dopo il Cinquecento, è ben testimoniata dalle intatte cerchia di mura che cingono il borgo e si sono allargate nei secoli con la crescita del centro abitato.
Lungo le mura, e presso le porte di accesso all’abitato, sorgono torrioni a pianta circolare; altre due torri tronco-coniche di avvistamento delle feluche dei “Turchi” sorgono sul litorale.
L’accesso al borgo era possibile solo attraverso le porte tutt’ora attive, rispettivamente “Santa Caterina” a nord-est, “Canarda” a sud-est e “Marina” a sud-ovest, nonchè dal “Varco Bondai” (aperto in epoca successiva per comodità della popolazione). Porta “Marina“, seguendo l’evoluzione delle mura dal secolo X al XVIII, ha avuto ben quattro posizioni diverse e, infine, è stata addirittura sdoppiata in Porta Marina e Porta San Nicola.
Il Castello fu costruito attorno al XIII secolo inglobando una antecedente torre romanica. Residenza fortificata dei marchesi di Clavesana, signori del borgo, servì anche a difendere la popolazione dagli assalti dei saraceni. L’edificio, in pietra a pianta rettangolare con 4 torrioni agli spigoli, fu poi trasformato in oratorio dedicato a santa Caterina d’Alessandria, e ancora convertito in ospedale.
Oggi le sale al primo piano sono sede del Museo Etnografico del Ponente Ligure e dell’ufficio di Informazioni Turistiche. La sala al secondo piano è invece sede di mostre d’arte che si avvicendano durante il periodo estivo.
Il Museo etnografico presenta un vivace spaccato di vita ottocentesca relativa alla casa, all’artigianato, all’agricoltura e alla marineria, con attrezzi ‘animati’ da manichini a grandezza naturale e costumi dell’epoca. E’ la più preziosa e completa testimonianza del genere in tutta la Liguria di ponente!
La Chiesa di San Giovanni, costruita a cavallo tra i secoli XVII e XVIII, è il maggior monumento barocco del Ponente Ligure e domina un ampio braccio di mare con un suggestivo effetto scenografico. E’ la parrocchiale dedicata a San Giovanni il Battista, ma è meglio conosciuta come “dei Corallini” perché eretta anche grazie ai proventi della pesca del corallo che i cervesi praticarono per secoli nei mari di Corsica e Sardegna.
Il progetto in stile barocco, con notevoli pittoresche invenzioni, fu dell’architetto Gio Batta Marvaldi di Candeasco (piccolo paese dell’alta Valle Impero) cui morte nel 1706, successe il figlio Giacomo Filippo. L’elegante campanile, costruito alla fine della metà del XVIII secolo, fu invece realizzato su disegno del pittore Francesco Carrega di Porto Maurizio. La chiesa, a grande e unica navata, conserva al suo interno significative opere d’arte fra cui spiccano: il pulpito in marmo bianco del 1500; sull’altare laterale di sinistra il Crocefisso ligneo del Maragliano; il tabernacolo degli olii santi in marmo del ’400; il fonte battesimale in marmo e ferro battuto risalente ’600.
L’ oratorio di Santa Caterina fu eretto nel secolo XIII quale chiesa parrocchiale del borgo, la costruzione molto severa è in pietra da taglio, a navata unica, con una cappella laterale; al suo interno conserva numerosi anonimi affreschi cinquecenteschi. Sopra l’ingresso, domina dall’alto un grande affresco di San Giorgio che uccide il drago e la maestosità dell’opera contribuisce a rendere in tutto il suo severo splendore questa chiesa romanica, oggi sconsacrata e utilizzata come sala per mostre e concerti.
Palazzo Viale era la residenza di una delle famiglie più importanti di Cervo, arricchitasi grazie alle rendite terriere ed ai traffici marittimi. Costruito nel XVIII secolo ai limiti del quartiere detto “il Borgo” sul ciglio di quella che diverrà la Strada Corriera “Roma-Parigi” di progetto napoleonico, presenta prospetti definiti da cornicioni marcapiano, con aggraziate cornici in stucco alle finestre e motivi decorativi dipinti; il vano di una finestra cieca al secondo piano sul lato di ponente era affrescato con la figura di una dama e di un cavaliere, dissoltasi nei recenti anni ‘70. Anche alcune persiane sono originali del pieno Settecento.
L’ingresso ha un bel portale in marmo bianco; l’atrio e la scala sono di classica tipologia signorile genovese, con i portoncini dalla cornice modanata affacciati sui pianerottoli. L’edificio ha due piani nobili; ai tempi del suo massimo fulgore era diviso fra quattro fratelli: Gio Batta (sacerdote, 1726-1799), Giuseppe (capitano, 1730-1808), Anton Domenico (1734-1794) e Saverio (mercante, 1741-1811). Il secondo piano nobile, oggi proprietà del Comune che vi realizza iniziative culturali, è uno dei più interessanti appartamenti d’epoca conservatisi nella Riviera di Ponente, arricchito da affreschi di Francesco Carrega.
Il piccolo ingresso immette nel salone la cui volta è dipinta col motivo di Giunone, ed una serie di Virtù; temi religiosi decorano una stanza laterale, mentre nell’anti-sala, dedicata ai ritratti di famiglia, è rappresentata la caduta del carro di Fetonte.
Nella stanza meno ben conservata è raffigurato un episodio della vicenda di Tancredi e Clorinda tratto dalla “Gerusalemme Liberata”. L’appartamento si conclude con la sala dell’alcova, dotata di una cappella “ad armadio” da cui officiar Messa ad eventuali malati; la camera è affrescata con decorazioni naturalistiche e con le personificazioni del Crepuscolo e dell’Aurora veglianti dalla morbida arcata che introduceva al talamo coniugale.
Il nome Ventimiglia deriva dalla parola latina albium, ovvero città capoluogo, e dal nome etnico intemelium, quindi città capoluogo dei liguri intemeli. E’ errato pensare che il nome sia inteso come XXmiglia, ovvero come una distanza in km, in quanto non vi sono fonti storiche che lo dimostrino.
Le prime tracce della presenza dell’uomo in questi luoghi risalgono alla Quarta Glaciazione e sono ben visibili nei pressi dei Balzi Rossi, grazie alle innumerevoli grotte che furono visitate nel 1846 dal Principe Florestano I di Monaco e che ancora oggi regalano suggestive emozioni. Dopo le presenze preistoriche, i primi veri insediamenti si registrano con i “castellari”. Il mito greco racconta del passaggio di Eracle al suo ritorno dalla Spagna, con l’apertura della cosiddetta via Herculea lungo la costa, ma storicamente piu concreto fu l’impatto dell’insediamento Greco a Marsiglia intorno al 600 a.C.
Nel II secolo a.c., la città fu conquistata dall’esercito dell’Impero romano e durante tale periodo romano ospitò Cesare. Egli risedette da Domiziano, il quale però venne ucciso proprio dal comandante del presidio militare romano presente nella città. Questo scatenò una rivolta e la popolazione prese il sopravvento sulle poche guardie romane presenti. E’ per questo fatto storico, raccontato da un corrispondente di Cicerone, che il motto inscritto tutt’oggi sullo stemma di Ventimiglia è: civitas ad arma iit (“la popolazione corse alle armi”, inciso sotto il leone d’oro). Dopo il dominio romano e gli attacchi saraceni, che coinvolsero gran parte della costa ligure, in età feudale si dichiarò libero comune, sotto le vesti dei conti Ventimiglia. Questi si scontrarono più volte con la Repubblica di Genova, che cercava di insediarsi sino ai confini liguri. Dopo un’estenuante lotta, i genovesi riuscirono a conquistare la terra intemelia, rendendola punto strategico di frontiera.
Le glorie della Repubblica di Genova non durano per molto tempo, infatti dopo la dominazione Austriaca, nel 1797 Ventimiglia subì l’invasione francese di Napoleone Bonaparte. Dopo la caduta dell’impero francese, il Congresso di Vienna del 1815 disegnò i confini delle nazioni e la città intemelia fu sottoposta, dopo aver fatto parte della Giurisdizione delle Palme, come tutta la ex repubblica di Genova, al regno di Sardegna. Dopo varie lotte italo-francesi per il possesso della città, nel 1860 Ventimiglia tornò definitivamente all’Italia, sotto la nuova provincia di Porto Maurizio.
La ricca storia della città, ha lasciato tutt’oggi una traccia importante: basta farsi una passeggiata all’ingresso di Ventimiglia per ritrovarsi ai tempi della conquista romana con i resti archeologici del magnifico teatro, visitabile insieme alle terme e alla cinta muraria dell’antica Albintimilium.
Anche per quanto riguarda i paesaggi, Ventimiglia è una città che colpisce. Oltre al panorama imperdibile che si può trovare passando alla Mortola Superiore, una nota di merito è senz’altro da rivolgere ai Giardini Hanbury, un’area acquistata alla fine del 1800 da Thomas Hanbury il quale, insieme al fratello Daniel, la trasformò in un parco di acclimatazione e in un centro di ricerche botaniche famoso in tutta Europa.
Da non perdersi, infine, le manifestazioni estive della città, con rievocazioni storiche di giochi e banchetti dei vari rioni, oltre alle celebrazioni ecclesiastiche della bellissima Cattedrale di Santa Maria Assunta, dal maestoso portale che si affaccia sulla piazza di Ventimiglia Alta.
Il nome Ventimiglia deriva dalla parola latina albium, ovvero città capoluogo, e dal nome etnico intemelium, quindi città capoluogo dei liguri intemeli. E’ errato pensare che il nome sia inteso come XXmiglia, ovvero come una distanza in km, in quanto non vi sono fonti storiche che lo dimostrino.
Le prime tracce della presenza dell’uomo in questi luoghi risalgono alla Quarta Glaciazione e sono ben visibili nei pressi dei Balzi Rossi, grazie alle innumerevoli grotte che furono visitate nel 1846 dal Principe Florestano I di Monaco e che ancora oggi regalano suggestive emozioni. Dopo le presenze preistoriche, i primi veri insediamenti si registrano con i “castellari”. Il mito greco racconta del passaggio di Eracle al suo ritorno dalla Spagna, con l’apertura della cosiddetta via Herculea lungo la costa, ma storicamente piu concreto fu l’impatto dell’insediamento Greco a Marsiglia intorno al 600 a.C.
Nel II secolo a.c., la città fu conquistata dall’esercito dell’Impero romano e durante tale periodo romano ospitò Cesare. Egli risedette da Domiziano, il quale però venne ucciso proprio dal comandante del presidio militare romano presente nella città. Questo scatenò una rivolta e la popolazione prese il sopravvento sulle poche guardie romane presenti. E’ per questo fatto storico, raccontato da un corrispondente di Cicerone, che il motto inscritto tutt’oggi sullo stemma di Ventimiglia è: civitas ad arma iit (“la popolazione corse alle armi”, inciso sotto il leone d’oro). Dopo il dominio romano e gli attacchi saraceni, che coinvolsero gran parte della costa ligure, in età feudale si dichiarò libero comune, sotto le vesti dei conti Ventimiglia. Questi si scontrarono più volte con la Repubblica di Genova, che cercava di insediarsi sino ai confini liguri. Dopo un’estenuante lotta, i genovesi riuscirono a conquistare la terra intemelia, rendendola punto strategico di frontiera.
Le glorie della Repubblica di Genova non durano per molto tempo, infatti dopo la dominazione Austriaca, nel 1797 Ventimiglia subì l’invasione francese di Napoleone Bonaparte. Dopo la caduta dell’impero francese, il Congresso di Vienna del 1815 disegnò i confini delle nazioni e la città intemelia fu sottoposta, dopo aver fatto parte della Giurisdizione delle Palme, come tutta la ex repubblica di Genova, al regno di Sardegna. Dopo varie lotte italo-francesi per il possesso della città, nel 1860 Ventimiglia tornò definitivamente all’Italia, sotto la nuova provincia di Porto Maurizio.
La ricca storia della città, ha lasciato tutt’oggi una traccia importante: basta farsi una passeggiata all’ingresso di Ventimiglia per ritrovarsi ai tempi della conquista romana con i resti archeologici del magnifico teatro, visitabile insieme alle terme e alla cinta muraria dell’antica Albintimilium.
Anche per quanto riguarda i paesaggi, Ventimiglia è una città che colpisce. Oltre al panorama imperdibile che si può trovare passando alla Mortola Superiore, una nota di merito è senz’altro da rivolgere ai Giardini Hanbury, un’area acquistata alla fine del 1800 da Thomas Hanbury il quale, insieme al fratello Daniel, la trasformò in un parco di acclimatazione e in un centro di ricerche botaniche famoso in tutta Europa.
Da non perdersi, infine, le manifestazioni estive della città, con rievocazioni storiche di giochi e banchetti dei vari rioni, oltre alle celebrazioni ecclesiastiche della bellissima Cattedrale di Santa Maria Assunta, dal maestoso portale che si affaccia sulla piazza di Ventimiglia Alta.
l gruppo montuoso Toraggio-Pietravecchia è conosciuto dagli appassionati di escursionismo per lo spettacolare Sentiero degli Alpini, inciso nella roccia, ma anche a studiosi e naturalisti appassionati: non a caso è stato definito il più importante Santuario della natura della Liguria. il percorso ad anello che vi si snoda è sicuramente l’itinerario naturalistico più appagante di tutta la Liguria. Un vero e proprio paradiso per i botanici: la particolare posizione geografica di questo luogo fa sì che ospiti una flora ricchissima con specie montane accanto ad altre tipiche di climi caldi.
Più di 30 specie endemiche del gruppo montuoso hanno una rilevanza scientifica e così come i numerosi relitti glaciali, arrivati in tempi remoti, quando i ghiacciai coprivano gran parte della catena alpina. Tra i più pregiati la Moehringia di Le Brun , presente solo qui, in valle Argentina e vai Roja, e il Fiteuma di Balbis, presente solo in poche località delle Alpi liguri e Marittime francesi, e poi ancora I’Aquilegia di Reuter, la Viola di Valdieri, la Genziana ligure, il Rapontico di Bicknell.
Il sentiero degli Alpini è stato realizzato tra le due guerre mondiali per raggiungere da Colla Melosa le batterie militari poste nel massiccio del Toraggio – Pietravecchia e rappresentava l’alternativa al percorso settentrionale, esposto ad eventuali bombardamenti francesi. Per raggiungerlo si imbocca l’autostrada A10 e si esce al casello di Arma di Taggia (ca. 130 Km da Genova). Si prende a sinistra la SS 548 che risale la Valle Argentina. Giunti all’ingresso di Molini di Triora, si imbocca a sinistra la strada provinciale che sale alla Colla Langan, e da qui si continua a destra per la Colla Melosa (1540 m), dove, a breve distanza, inizia il sentiero.
L’escursione – circa 6 ore di cammino complessive per un dislivello di 600 m. circa – ha inizio in località Colla Melosa (1541 m) presso il rifugio Allavena. Il sentiero richiede, all’andata, un po’ di attenzione in alcuni tratti esposti (cavo corrimano). Il ritorno è invece più rilassante, lungo una mulattiera che attraversa gli splendidi boschi di larici del versante francese.
Da Colla Melosa si segue per circa 600 m la strada in terra battuta che sale al monte Grai. Si imbocca quindi a sinistra un sentiero (segnavia: un triangolo rosso) che è all’inizio pianeggiante, e poi scende ripido (corde metalliche) per attraversare l’alveo roccioso di un torrentello. Dopo aver superato un altro rio, si sale fino a un bivio e di qui si continua a sinistra in lieve discesa verso il sentiero degli Alpini. Costeggiando alla base le prime bastionate rocciose si giunge ad una fonte, quindi si attraversa una breve galleria. Si prosegue con vari saliscendi, tagliando le bastionate inferiori del monte Pietravecchia, percorrendo spettacolari tratti scavati nella roccia.
Si sale quindi, con una serie di faticosi tornanti, alla Gola dell’Incisa (1685 m – 2 h), intaglio roccioso posto sulla cresta di confine tra il monte Pietravecchia e la cresta Nord del Toraggio. Si continua sul versante italiano, lungo il sentiero che attraversa i fianchi orientali del Toraggio e, dopo aver superato alcuni tratti esposti attrezzati con cavi metallici, si sbuca sui prati del versante Sud, che si attraversano in lieve discesa fino ad incontrare l’Alta Via dei Monti Liguri. Seguendola verso destra si sale al Passo di Fonte Dragurina (1810 m)
Dal passo si può abbandonare il sentiero per inerpicarsi a destra lungo una ripida traccia; un canale poco marcato e facili gradini rocciosi conducono quindi alla cima del monte Toraggio (1973 m).
Si segue a destra la AVML che si porta sul versante francese; la mulattiera taglia in lieve discesa i fianchi NO del Toraggio, in gran parte ricoperti di larici, e riporta alla gola dell’Incisa. Da qui si prosegue in salita, aggirando ad Ovest il Pietravecchia. Giunti sui prati del Passo della Valletta (1909 m) si abbandona l’Alta Via e si scende sul versante opposto attraversando la vecchia strada militare per dirigersi a SE lungo un sentierino tra i larici. A quota 1800 m si gira a sinistra e si giunge ad un tornante della rotabile sterrata che da colla Melosa sale al monte Grai, seguendola in discesa fino al parcheggio.
Arrivando a Ventimiglia Alta, dopo aver attraversato Porta Nuova ed il piccolo tratto di strada chiuso ai lati dalle alte mura, ci si ritrova davanti ad un’ampia panoramica che da sulla piazza e la sua Cattedrale dedicata alla Vergine Assunta. Questo impatto visivo, che non ci si aspetta di trovare nella zona antica di una città, solitamente chiusa da volte, stretti carruggi e mura, viene ben rappresentato dal portale della Cattedrale stessa. La sua dimensione, rispetto alla grandezza totale della facciata della chiesa, sembra infatti eccessiva, quasi d’ingombro, rispetto a quello che ci si aspetta dal portale di un edificio romano. Anche l’occhio più distratto, non può non osservare come il portale appaia maestoso e imponente, lasciando ben poco spazio ad altre decorazioni o altri ingressi.
Fatta eccezione per qualche monofora, il resto della Cattedrale è un “semplice” muraglione di pietra! Lo stesso Nino Lamboglia si occupò di questa particolare discordanza tra il portale e la sua chiesa, giungendo alla conclusione che la struttura risalisse al XIII secolo, mentre “il superbo portale gotico“ ad una cronologia più larga, vicina al primo Trecento. Non furono mai eseguiti studi approfonditi sulla datazione del portale, e la fama dell’architetto Lamboglia era talmente alta che si decise di prendere per corretto il periodo indicato da lui. In fondo, tutti gli studiosi hanno sempre concordato sul fatto che il portale fosse “troppo grosso” e “troppo gotico” per essere coetaneo della chiesa, datata 1251. Ma esattamente, quanto tempo dopo è stato realizzato? E perchè in modo così diverso? Possiamo cercare la prima risposta all’interno dei documenti storici, scoprendo che la prima prova che attesta l’esistenza del portale è un disegno del 1350, conservato nell’archivio di Stato di Genova. Si tratta però di una data sin troppo lontana rispetto a quella che verosimilmente potrebbe essere corretta. Un’altra data, forse più attendibile, è quella di un rogito del notaio Giovanni di Amandolesio, del 1258, dove viene indicata una struttura architettonica di un certo respiro, riferita quasi con indubbia certezza alla cattedrale di Ventimiglia.
Risolto, almeno parzialmente, il problema della datazione, osserviamo adesso gli elementi decorativi del portale, di non certo più facile interpretazione!
Addossato al prospetto del duomo, l’avancorpo si apre verso la piazza inquadrando l’ingresso attraverso profonde strombature. E’ come un blocco scavato. I vari archivolti a sesto acuto sono scanditi da una serie di costoloni che trovano rispondenza nelle colonnine (tre per parte) attraverso i capitelli figurati. Alla giuntura tra l’arco e la colonnina, troviamo una cornice profilata (sagomata) che corre lungo tutto il portale. Un altro elemento di unificazione è dato dal fregio a denti di sega, che affiora sia sotto le cornici degli spioventi che nella lunetta. Tutto quello che oggi si vede del portale può ritenersi genuino, fatta eccezione per una colonnina di destra che venne sostituita dopo la guerra in quanto fu seriamente danneggiata da un proiettile.
A sinistra i capitelli sono decorati il primo da tre teste umane, incorniciate da un rudimentale sistema ad archetti pensili, con un raccordo sullo spigolo; dopo un mascherone zoomorfo; e l’ultimo capitello ancora da tre teste, la maggiore al centro, sormontate da archetti. Sulla mensola c’è un telamone-ornante nudo.
La mensola opposta presenta invece la figura di un angelo ad ali spiegate (con le mani di sei dita), naturalmente vestito di una tunica lunga. Un altro angelo torna sul primo capitello, insieme a due teste umane e due croci. Nel secondo capitello, due quadrupedi araldici (ossia che rappresentano uno stemma, l’importanza di una famiglia), speculari, dall’apparenza di lepri, mordono una protome umana; l’ultima testa, nel terzo capitello, è fiancheggiata da due mascheroni cornuti, presumibilmente diabolici.
Quella del portale di Ventimiglia è un’architettura che non ha bisogno di scultura, perché tratta l’elemento scultoreo con l’architettura stessa. Questa è l’arte di una vera maestranza di costruttori, i lapicidi. Basta osservare, ad esempio, come la lunetta sia decorata semplicemente dagli effetti chiaroscurali bianchi e neri, senza la presenza di un’ulteriore decorazione come un bassorilievo o un mosaico che solitamente si vedono in altre Cattedrali. Quindi, se da un lato il portale, per le sue grandi dimensioni e per gli archivolti a sesto acuto, puo’ riportare all’arte gotica, la sobrietà delle decorazioni riporta subito al vocabolario romanico. A Ventimiglia è quindi in atto una sorta di “resistenza al gotico“, che invece ha già molta importanza nei portali delle chiese della vicina Francia, questo a causa di un forte legame con la tradizione.
Gli antelami, esperti nella lavorazione della pietra (lapicidi), si insinuano nel contesto della Riviera dei Fiori, grazie all’espansione politico-militare di Genova, ma solo per divulgare un modello architettonico, una cultura, un potere, che appartiene in quel momento a Genova. La decorazione di un portale diventa così anche un segno di possesso, un modo tangibile per ribadire la propria autorità. Tant’è vero che la bicromia dei suoi archivolti riflette proprio la cultura decorativa genovese. A questo punto, il portale di Ventimiglia non appare poi cosi “sproporzionato” se si pensa che è stato costruito come segno di potenza genovese e che l’unico modo da parte dei lapicidi per rendere l’idea di profondità e lunghezza era proprio quello di creare un avancorpo. Il papa genovese Innocenzo IV si trovò a Ventimiglia proprio nel 1251 e viene spontaneo pensare che proprio in quell’occasione venne deciso di costruire il portale della cattedrale, affidandosi ad artisti importanti come i lapicidi, i quali solitamente facevano parte dell’esercito occupandosi di fortificazioni e rafforzamenti di città e castelli. Chi, quindi, meglio di loro poteva eseguire un’opera “di potere” politico?
Data una risposta anche sul “perchè” del portale maestoso della cattedrale di Ventimiglia, non resta che fare una breve analisi del significto iconografico della struttura.
I protomi del portale di Ventimiglia, sembrano rappresentare una differenza tra bene e male. Di fatti, l’angelo del capitello a destra, sembra voler proteggere dal vicino male (i protomi indemoniati con le corna) con le sue ali aperte. Questo simbolismo deriverebbe dall’iconografia medievale degli esorcismi.
All’esterno dell’avancorpo i quattro oranti (uomini che pregano) rappresentanti simbolici del popolo di Dio, si atteggiano anche a telamoni (statue che avevano la funzione di pilastri, grecia), quindi a peccatori che reggono un peso, sia pure del tutto convenzionale: la loro gestualità elementare sembra alludere alla necessità della preghiera e della conversione, e insieme alla protezione assicurata dalla chiesa alle schiere dei fedeli.
Una lacuna tutt’altro che accidentale è data dalla mancanza di soggetti legati alla storia sacra. Sui capitelli del portale maggiore della chiesa più importante della diocesi ci sono quasi soltanto teste apotropaiche (che hanno funzione di scacciare il male, scaramantiche)! Come si è visto, la priorità è data dall’architettura e non dall’arte figurativa. Le immagini non seguono una narrazione, ne uno schema e non sono collegate l’una con l’altra, semplicemente ognuna racconta qualcosa a se, principalmente a carattere rituale-magico. La testa mozzata delimita e difende lo spazio sacro dell’edificio, in linguaggio chiaro e comprensibile a tutti i fedeli. Ma trattandosi comunque di edifici sacri, dedicati a Dio, perché le immagini apotropaiche prevalgono su quelle cristiane? Una chiave di lettura potrebbe essere data dal paragone di un libro sacro come la Bibbia. La facciata della cattedrale potrebbe essere vista come la copertina di un testo sacro, che deve avere il vantaggio di trasmettere un messaggio nell’immediatezza e nella piacevolezza dell’immagine visiva a colpo d’occhio, verso tutti i fedeli, quindi anche quelli meno colti.
Nella cattedrale di Ventimiglia non c’è alcuna rappresentazione di Cristo, o di Maria semplicemente perché è la stessa Chiesa a rappresentarli, così come per la Bibbia dove è il libro stesso a rappresentarla.
Il portale della Cattedrale di Ventimiglia alta, quindi, è qualcosa che va oltre un semplice ingresso. Rappresenta, oltre al potere di Genova, un invito ad entrare non solo per i cristiani, ma anche per quella parte della popolazione meno colta, magari ancora pagana, capace di interpretare meglio un simbolo “magico”, di buon auspicio (come potevano essere i protomi), piuttosto che un mosaico della Vergine.
Insomma, un portale capace di abbracciare tutti e tutte le culture, come il panorama stesso di Ventimiglia alta, che con le sue mura abbraccia, ma non opprime, i suoi abitanti.