Il monarca, che di lì a pochi giorni avrebbe anche inaugurato i Giochi olimpici che si tenevano nella stessa capitale, faceva sentire la propria voce, per la prima volta, da quando, dopo lo sganciamento delle atomiche a Hiroshima e Nagasaki, dovette dicharare – ufficialmente alla radio – che le vicende della guerra “non stavano evolvendo necessariamente a favore del Giappone”.
In quella concatenazione d’eventi c’è tutto il valore simbolico e di riscatto che il Sol Levante riponeva in un progetto pensato sin dalla fine degli anni Trenta, poi accantonato durante la guerra, e ripartito alla fine degli anni ’50. L’idea era quella di ridurre il tempo necessario a collegare le due principali città giapponesi in 3 ore contro le 7 e mezza allora necessarie per coprire i 515 chilometri. I test cominciarono nel 1962 e ben presto i treni raggiunsero velocità – record per elettromotrici – di oltre 250 chilometri orari.
Da allora, da quel giorno di inizio autunno del 1964, è passato mezzo secolo. Il modello dello Shinkansen (il nome signfica sempicemente “nuova linea principale”: il Paese aveva linee a scartamento piccolo, che fu allargato di quasi una volta e mezza) è stato imitato pressoché ovunque, in Europa soprattutto a cominciare dalla Francia, ma anche in Germania e da noi, e in qualche aspetto superato, a cominciare dalle velocità massime assolute e di crociera – i Frecciarossa sfrecceranno presto a 360 orari, i treni nipponici non superano i 320, ma sulla linea principale – la Tokaido, solo da poche settimane sono passati da 270 a 285 – ma l’efficienza complessiva del sistema nipponico resta ineguagliata. A cominciare dalla sicurezza – nessun incidente mortale, ben pochi episodi “minori”, passando per la puntualità. E’ vero, infatti, che basta frequentare un minimo la rete di ala velocitò oltreconfine – in Francia, in Germania o nei paesi vicini che ormai fanno parte della rete – per constatare una capacità di mantenere fede all’orario da noi sconosciuta, ma nel Sol Levante siamo oltre: le statistiche ufficiali, infatti, parlano di un ritardo medio di 40 secondi per l’anno fiscale 2013.
Chi ha avuto occasione di salirvi – e chi ha visitato il Giappone sa quanto sia conveniente in tutti i sensi scegliere il treno come sistema di trasporto pressoché unico – e di “studiare” minimamente il sistema avrà constatato arrivi e partenze che letteralmente spaccano il minuto, in ogni stazione. Neanche quel minimo elastico durante il viaggio, con piccoli ritardi e recuperi, in cui capita di imbattersi in Paesi europei dove i servizi sono più efficienti che in Italia: il treno arriva alla stazione x 20 secondi prima del minuto stabilito (alle 8 59 e 40 secondi se lo scheduled dice “ore 9.00” – inutile dirlo, arrivo e partenza nell’orario coincidono), i viaggiatori sono già tutti in coda in corrispondenza dei rispettivi pannelli che segnalano il numero di carrozza (inutile dire che questo sistema vige da almeno dieci anni), il capotreno staziona davanti all’orologio della stazione, lo monitora continuamente e fa partire il convoglio, nello specifico, alle 9 e 20 secondi. Nella stazione successiva Y si replica, e nella Z ancora.